Cartomanzia e coincidenze: la sincronicità di Jung
Nella cartomanzia niente è un caso: le carte che si aprono, perché tutto è in corrispondenza, il piccolo con il grande, l’esterno con l’interno. I tarocchi sono il simbolo-collante, diciamo così, dove il frantumato si ricostruisce come in un puzzle: ogni tessera al suo posto.
Gli antichi romani, per esempio, credevano negli omen, ossia che ogni nome avesse dentro di sé un presagio. Dicevano: nomina sunt omina, il nome sono un destino; tanto che un poeta e giurista latino, alla corte del regno di Sicilia, Ricardo da Venosa, nella sua commedia dedicata a Federico II di Svevia dice: “conveniunt rebus nomina saepe suis“, spesso i nomi sono appropriati alle cose o alle persone cui appartengono.
Questa idea, intuito se vogliamo, che le coincidenze abbiano un senso l’avevano avuta già gli esseri umani nei tempi più remoti. Infatti non per caso gli sciamani indossavano una maschera per danzare e creare eventi favorevoli, attraverso un rito magico. Avevano intuito la connessione tra l’esterno e l’interno. Esiste un lgame tra noi e ciò che accade. Vi è mai capitato di vivere un’esperienza e già l’avevate pensata? Aspettarsi che qualcosa succeda e poi accade. Oppure, si avvera un fatto di cui si aveva paura che accadesse.
Secondo alcune teorie, siamo gli artefici del nostro destino. Proprio come troviamo nelle sette leggi universali di Ermes, i nostri pensieri determinano la realtà e l’esperienza.
La famosa legge dell’attrazione intuita da Einstein: “Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà”.
Noi creiamo e nulla è un caso.
Carl Gustav Jung ebbe esperienze con il mondo onirico che lo segnarono sin da giovane, come la morte del padre prima e della madre successivamente. Racconta esattamente di aver sognato suo padre, venuto dall’al di là, che gli domandava sulle difficoltà riguardo il matrimonio. Quando si svegliò non riuscì a dare una spiegazione al sogno ma poi la trovò. Era uno scienziato fuori dagli schemi possiamo dire oggi, un personaggio senza dubbio interessante che cercò di conciliare mondi opposti. Un giorno in un’intervista disse: “Da ragazzo ero potentemente attratto da due campi: le religioni comparate e la scienza. Diventai il più felice degli uomini. Riuscii a sposare due discipline molto diverse. In seguito volli divorziare dalla scienza perché mi sembrava che assumesse idee al di sopra del posto assegnatole. Ma le cose non sono andate in questo modo” (Vincent Brome in Vita di Jung).
Tra i suoi studi ci furono anche quelli dedicati al mondo magico, alle ricerche sulla separazione e composizione degli opposti psichici nell’alchimia, gli archetipi e l’inconscio collettivo e moltissimo altro.
Jung diceva che alla fede mancava l’esperienza e alla scienza, l’anima. Spiegava che sempre più persone si rivolgevano al mondo esoterico, ai viaggi verso l’India perché le cerchie teologiche avevano chiuso ogni forma di discussione. Come se in Occidente si fosse verificato un arresto dell’evoluzione storica dello spirito, tanto che, continuava, lo stesso Ermes e la sua filosofia erano diventati un mistero impenetrabile.
Siamo connessi e “la dissociazione della personalità sta alla radice di ogni nevrosi”. Rintraccia nell’arcano un ruolo di guarigione, un carattere terapeutico perché a questo credevano gli antichi medici alchimisti che non curavano solo il corpo ma anche l’anima.
L’assolutismo di una idea che sia marxista o tecnico-scientifica, dice Jung nelle ricerche sul simbolismo del Sé, “può provocare una regressione spirituale e quindi un notevole incremento della dissociazione psichica”. Per questo studioso, la perdita delle radici e l’abbandono alle tradizioni era un tornare alla barbarie, significava nevrotizzare le masse e predisporle all’isteria collettiva.
A lungo parla degli opposti tanto che se uno fa esperienza di un polo, diciamo così, fino ad identificarsi con esso, con il tempo cercherà il suo opposto.
Per gli antichi greci, l’enantiodromia era la corsa verso l’opposto. L’armonia dei contrari ed è a questo che la cartomanzia aspira.
Non è un caso che il serpente di cui abbiamo parlato nello spirito pitone, è maschio e femmina. Anche l’Adamo del paradiso è in armonia con il creato. Dio crea a sua immagine: maschio e femmina li creò.
Tornando al discorso di sincronicità, nella comprensione della cartomanzia c’è una forma di leggere e interpretare gli eventi. Non è una semplice coincidenza. Può essere una coincidenza che cada un piatto dalle mani e da fuori si senta uno scoppio ma quando hai comprato un vestito blu, dice Jung, e a casa te ne mandano uno nero il giorno che tuo fratello muore, allora questa non è più una semplice coincidenza.
Diceva Schopenhauer che nonostante ogni forma di razionalismo, sempre gli esseri umani apriranno le Scritture, consulteranno le carte o i fondi del caffè perché cercano di riconoscere in ciò che sta dinanzi a loro una connessione con il tempo o con lo spazio, una chiave per decifrare il futuro.
Quando ci si mette in relazione con l’esterno, ma quando anche ci mettiamo in relazione con il tutt’uno che sta in noi, troviamo delle spiegazioni. E quando da solo uno non ci riesce, si rivolge agli esperti.
Jung, per esempio provò anche a realizzare un vero metodo sulla sincronicità, con un gruppo di studenti che, attraverso i tarocchi o i Ching potessero esaminare eventi forti della propria vita con questi mezzi di divinazione. Jung integrò queste esperienze con il mondo psichico.
Così scrisse:
“L’Oriente fonda il suo pensiero e la sua valutazione dei fatti su un altro principio. Non c’è nemmeno una parola che rifletta questo principio. L’Oriente ha certo una parola per questo, ma noi non la comprendiamo”.
Quella parola è TAO che Jung chiama in una forma più povera, come dirà lui stesso, sincronicità.