Abbiamo detto che l’arcano è qualcosa che affascina l’essere umano, l’attrazione verso il mistero. Ma, allo stesso tempo, c’è un altro elemento altrettanto forte: la paura dell’incerto.
Se chiedessimo alle persone cosa cercano, sarebbero tante quelle che ci risponderebbero: “essere felici”. E spesso non si ha nemmeno ben delineata l’idea di felicità. Sicuro è che non vorremmo problemi, non vorremmo vivere come poveri disgraziati. In tutto questo rientra la paura della perdita o delle perdite, quella di fracassare, le malattie, l’indigenza, la morte e di conseguenza si ricorre alla cartomanzia.
Molti di noi si sentono come i soldati di Ungaretti: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Si percepisce la quotidianità come un campo di battaglia. L’insostenibilità dell’incertezza presente, diventa eco per quella futura.
Non riuscire a trovare un motivo, un senso alla propria storia, agli avvenimenti che ci accadono, ci fanno vivere in una stanza ansiosa, dove le uscite appaiono annebbiate se non del tutto oscurate.
La precarietà nel lavoro o la mancanza, l’incertezza di un amore, la paura di perderlo o di essere traditi, la struggente morsa di una crisi, ogni evento che non può essere controllato, rappresentano un carro che traina Innocenzo X di Bacon. Tutto il nostro albero soffre fino alle radici che cercano terreni meno franosi per finire ad aggrapparsi all’illusione. Si consultano gli oracoli, si cercano risposte nelle carte, si attendono predizioni che come rugiade fresche e liberatorie possano attenuare l’arsura dell’indeterminatezza. Attenuare la tragicità della vita attraverso il verdetto di un cartomante, per lasciare almeno nel tempo di una seduta, quell’Innocenzo X di Bacon così disperso e frantumato, così sofferente perché non sa se potrà uscire dalla propria alienazione, abbandonare un ambiente che ha sepolto la speranza, il senso della propria umanità.
Spesso, lo stesso passato arriva nel presente come una freccia verso il futuro. Una freccia velenosa, la minaccia che un evento possa ripetersi e ci strangola nella rete che ci avvolge e da cui non possiamo liberarci per quanto ci dimeniamo.
Il sentirsi abbandonati, quell’essere che va verso la fine dei suoi giorni, come direbbe Martin Heidegger, Sein zun Tode, essere verso la morte.
Allora, ogni evento lo si percepisce come un enigma.
Quante situazioni familiari ci appaiono dei veri e propri enigmi.
Sappiamo che nell’antichità l’enigma non era un gioco o un passatempo, si usava per far cadere i nemici, un linguaggio ingannevole. Anche se non si era in grado di comprendere la cartomanzia risolverlo significava essere annoverati tra i sapienti, un linguaggio comprensibile a pochi eletti che permetteva di ascendere alla comunicazione con gli dei. L’enigma era anche una competizione, basta pensare al racconto di Mopso e Calcante, due famosi indovini che si sfidarono a colpi di enigma. Il secondo (eh già proprio lui che era considerato l’indovino per eccellenza, il grande interprete delle volontà divine) morì perché aveva sbagliato a dare la risposta, come ci dice Apollodoro nel libro degli Ellenisti.
Così si racconta:
“Ricevuti ospiti dal vate Mopso, che era figlio di Apollo e Manto, lui e Calcante avevano fatto una sfida di arte divinatoria. Quest’ultimo vide una pianta di fichi, e chiese a Mopso: «Quanti fichi porta questa pianta?»; Mopso rispose: «Diecimila più un medimno, e poi ne rimane ancora uno!» ed era esatto”.
La cosa però non finì qui, infatti la sfida continuò. Segue Apollodoro:
“Esso vide una scrofa gravida, e chiese a Calcante quanti porcellini avesse in pancia e quando si sarebbe sgravata: «Otto!» rispose. Ma lui sorrise e disse: «L’arte profetica di di quest’uomo è tutto il contrario dell’esattezza! Io, che sono figlio di Apollo e Manto, e assai ricco di quella vista acuta che si accompagna all’esatta divinazione, dico, diversamente da di costui, che i porcellini in pancia sono nove, e tutti maschi, e verranno partoriti senza ombra di dubbio domani all’ora sesta!»”.
Così Calcante morì perché questo era il destino segnato, ossia non sarebbe morto fino a quando qualcuno non lo avesse sconfitto nell’arte divinatoria.
Lo stesso capitò ad Omero perché dopo aver formulato una domanda ad un gruppo di giovani, chiedendo loro cosa avessero pescato, si sentì rispondere che quanto avevano preso, avevano lasciato e quanto non avevano preso, portavano. Un bell’enigma a cui Omero non seppe trovare la soluzione e, secondo la leggenda, morì di dolore. A causa dei pidocchi, pensate, perché quella era la soluzione.
Paul Celan diceva che gli enigmi non si sciolgono perché se si sciogliessero, non sarebbero più tali. E forse proprio per questo che la cartomanzia ha sempre clienti. Quei clienti che non hanno risposte agli enigmi della propria quotidianità, a quelle domande che la vita pone, alle questioni della propria esistenza, alle sfide del proprio tempo. E così cercano le risposte nelle carte.
Possibilmente che sia un seme di certezza o una figura di speranza, per favore!